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Eni privatizzata? Così marginalizziamo l’Italia nello scenario energetico internazionale

In questi giorni alcuni servizi di testate giornalistiche e programmi televisivi stanno segnalando e riportando, al dibattito mediatico, una serie di accuse nei confronti del management di ENI, in relazione ad alcune iniziative del passato per l’estrazione di idrocarburi in Nigeria e sulla base delle quali sono state formulate alcune ipotesi di reato.

Su tali questioni è giusto rispettare e attendere le indagini della Magistratura, già in corso da tempo sulla vicenda nigeriana; in questo senso dovremmo tutti attenerci alle conclusioni delle indagini, senza prestarsi a giudizi preventivi e sommari.

Riteniamo comunque fuori luogo e assolutamente non condivisibili, le conclusioni dell’articolo di Giuliano Garavini sul quotidiano “Il Fatto Quotidiano” del 10 aprile u.s., dove viene teorizzata e auspicata la privatizzazione totale del Gruppo ENI, sia per evitare il coinvolgimento della presenza pubblica in attività presumibilmente illecite, che per lo “scarso ritorno economico” del Gruppo nei confronti del Paese.

L’Eni è la più grande azienda italiana, esporta professionalità, innovazione e tecnologie nel mondo, con una attenzione particolare allo sviluppo di alcune aree svantaggiate; le scelte del Gruppo, in tema di investimenti, saranno fondamentali per la nostra ripresa economica ed occupazionale sia nei diversi scenari internazionali che a livello nazionale.

Da anni, come Organizzazioni Sindacali, sollecitiamo il Gruppo Eni per garantire gli investimenti strutturali nell’Energia e nella Chimica nazionale, decisivi per lo sviluppo sostenibile; abbiamo invitato ENI ad un costante rapporto con i territori e le Istituzioni Locali, abbiamo mobilitato migliaia di lavoratori per due anni, impedendo la cessione della proprietà di Versalis (la Società chimica del Gruppo), abbiamo sottoscritto importanti intese per la riconversione “green” degli impianti di raffinazione di Porto Marghera e di Gela, ci stiamo confrontando sui programmi di bonifica dei siti industriali e di sviluppo delle energie rinnovabili e delle produzioni sostenibili. Tutto ciò in una cornice di relazioni sindacali propria del sistema ENI, caratterizzato proprio dall’importante presenza pubblica nel capitale di ENI.

Difficilmente queste cose sarebbero state realizzate con una azienda con assetti proprietari diversi.

Negli scorsi anni, ad esempio, abbiamo gestito la chiusura di alcune raffinerie (Tamoil a Cremona, Total Erg a Roma Malagrotta, IES di Mantova), con la sottoscrizione di accordi importanti, che ci hanno permesso la tutela dei lavoratori, seppur in una logica difensiva.
Far uscire lo Stato dal capitale di Eni, significherebbe annullare la presenza pubblica da un settore strategico per i destini del Paese come quello della produzione e distribuzione dell’energia.
La presenza pubblica è ancora garantita oltre che in ENI, anche in SAIPEM e in SNAM: sono tutte eccellenze delle quali lo Stato non dovrà perdere il controllo, pena la marginalità nello scenario energetico nazionale ed internazionale.

In questo contesto difendiamo, inoltre, le capacità e la qualità professionali dei lavoratori, che sono il principale patrimonio di queste importanti realtà aziendali.

Per questo non condividiamo le valutazioni affrettate e lasciamo alle Istituzioni preposte la responsabilità di valutare eventuali errori o reati.

Il Paese non può rinunciare al ruolo di Eni, sia in Italia che nello scenario internazionale. Abbiamo davanti ancora molti anni per l’utilizzo di fonti fossili nella transizione evolutiva verso traguardi di autonomia sulle energie rinnovabili e questa transizione dovrà essere affrontata con realtà industriali forti, strutturate e con una presenza pubblica ancora determinante.

 

 

Roma, 12 aprile 2016

Il Segretario Generale Femca Cisl

Angelo Colombini

 

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